martedì, gennaio 24, 2006

I Baby Boomers passano i 50
Sintesi / anticipazione del mio prossimo articolo...

Ad essere ortodossi, per Baby Boomer si intende quella generazione nata negli Stati Uniti fra il 1946 e il 1964. Una forbice troppo ampia, in realtà, ed è quindi in genere ristretto l’interesse a fasce approssimativamente comprese tra i 50 e i 60 anni.

Un target interessante, anche dal punto di vista culturale e sociologico: ha vissuto mutamenti epocali della società, ha contestato (e/o preso parte) alla guerra del Vietnam, potuto vedere i Beatles dal vivo, vissuto sulla propria pelle crisi energetiche e rivoluzioni informatiche.

E, soprattutto, ha guardato la TV, moltissima TV, alcuni sin dal primo giorno in cui sul pianeta Terra sono stati messi in onda programmi e consigli per gli acquisti.

Quest’anno i primi Boomers svoltano la boa dei mitici 60 anni d’età, avvicinandosi (se non ci sono già) alla pensione in modo molto diverso dai loro genitori: con una testa differente e un modo di vivere (e consumare) diverso dagli stereotipi con sui alcuni sono abituati a ragionare.

Forse il fenomeno più interessante per il comunicatore è che molti di questi Boomers rifiutano di invecchiare, almeno secondo i canoni tradizionali. Salute permettendo, sono un gruppo attivo, che approfitta della pensione ( o pianifica di farlo) per giocare a golf, praticare sport, fare viaggi avventurosi (ma non troppo) fare nuove esperienze.

Per il mercato dei viaggi questo target, solo negli USA, vale oltre 57 miliardi di dollari – e si capisce perché il National Geographic, avendo aperto una unità di business dedicata a viaggi “di esplorazione” e di certo non a buon mercato, abbia focalizzato marketing e comunicazione su questo segmento.

Insomma, pronti a godersi la vita, sempre che abbiano i mezzi per farlo: è infatti un segmento contraddistinto da profonde differenze di reddito. Il 70 per cento di loro proviene da origini umili o povere: molti sono riusciti a raggiungere il benessere ma circa un terzo si trova oggi in condizioni economiche difficili.

I Boomers vogliono restare attivi e, spesso, continuare a lavorare a lungo, estendendo la mezza età in quella che una volta era l'epoca della vecchiaia - grazie alla medicina che prolunga il periodo di vita in buona salute.

I Boomers appaiono attenti alla propria immagine, reagiscono male vedendosi ritratti “con i capelli bianchi” o come un gruppo le cui emozioni sono ormai pacate e più proiettate sui nipoti (eventuali) che sul raggiungimento della felicità personale nei 20, 30 anni o più che ancora statisticamente gli spettano.

Molti hanno di sé la percezione di un'età ben inferiore a quella anagrafica e si aspettano quindi, quando li si ritrae in comunicazione, di essere presentati come dinamici, attivi, impegnati.

Dalle ricerche appare come non sia più vera la percezione di questo gruppo come conservatore e fedele alle proprie marche: la maggior parte del target sopra i 50 anni non sia tanto fedele alle marche quanto si era portati a credere e che la fedeltà sia influenzata più da altri fattori che non dall'età anagrafica.

Per moltissimi Boomer Internet è un media di uso normale e quotidiano e pertanto un media importante per comunicare con loro.
Proprio questo mezzo è però quello che più lontano appare essere negli stili di comunicazione - fortemente e costantemente basati sull'ipotesi che collegato ci sia (solo) un pubblico giovanile.

Il forte sviluppo di questo mezzo (il segmento dell'advertising che cresce più rapidamente) e l'impostazione creativa non relazionata a questo target sta aprendo una forbice tra le opportunità potenziali di business e i risultati effettivamente conseguiti.

In Italia, su una popolazione prossima ai 58 milioni, sono quasi 22 milioni gli abitanti che hanno passato i 50; e l'invecchiamento progressivo della popolazione farà ancora crescere il loro peso percentuale.

I nostri cinquantenni / sessantenni hanno visto il crollo della DC e del muro di Berlino, arrivare la liberazione sessuale e l'evoluzione della famiglia tradizionale. Il passaggio da una cultura sostanzialmente contadina a quella industriale e post industriale. Il consumismo e le critiche al consumismo. La TV di Stato e la rumorosa rivoluzione di quella commerciale.

Sono probabilmente diversi da certi stereotipi usati in pubblicità, forse perchè ad aziende e agenzie spesso non viene naturale parlare con loro, studiarli, investigarli. Un errore che, se commesso, anche nel nostro paese può mettere a rischio la performance della nostra comunicazione e, quindi, dei nostri prodotti.

sabato, gennaio 21, 2006

Se il consumatore non va alla TV…

E' la TV ad andare da lui.
In un mondo dove si guarda meno la Televisione e cala l’attenzione per la pubblicità (anche per colpa di Internet), l’agenzia di pubblicità Brand Marketers ha trovato la soluzione - lanciando, in alcune città statunitensi, la “T-shirt TV”.

Modelle avvenenti indossano una t-shirt che incorpora uno schermo televisivo, su cui passano messaggi pubblicitari. Pubblicità cui non si sfugge. Che ci insegue e ci raggiunge. Che ci sorprende a tradimento.

Al momento, però, più che di un nuovo media, si tratta (diciamocelo) di una trovata per attirare l’attenzione. Ma l’idea è ricca di potenzialità: forse un domani, se prosegue il calo di consumo televisivo, il fenomeno si generalizzerà e saranno le soap opera e i telequiz ad inseguirci, “indossati” da sorridenti messaggeri dei network.

giovedì, gennaio 19, 2006

Da oggi, con RSS...
Su stimolo di Andrea Cappello (http://www.studiocappello.it/) che ringrazio, da oggi il blog ha anche un flusso RSS... per chi non volesse perdersi nemmeno un byte dei miei interventi...

Per "abbonarsi" al blog, cliccate sul link nella barra di sinistra del menu, alla voce "Links"...

mercoledì, gennaio 18, 2006

Formazione:
Corso "Marketing e Comunicazione Low Budget"
per chi fosse interessato ricordo che sarò docente al corso di "Marketing e Comunicazione Low Budget" organizzato dal Sole 24 Ore. Il corso si terrà a Milano, il 25 e 26 Gennaio.

Per chi fosse interessato ad approfondire il tema dello sviluppo di una attività di comunicazione pubblicitaria e di come lavorare in / con una agenzia di pubblicità, segnalo che sarò docente di questo corso di LRA a Milano. Date:
28-29 marzo 2006
25-26 maggio 2006

Per finire il panorama dei corsi in arrivo... sarò il docente del corso "Internet marketing per vendere (Seconda edizione)
Accrescere la propria competitività attraverso un’efficace presenza in internet " di LRA. Data: 10 Aprile 2006.

giovedì, gennaio 12, 2006

Il momento della verità sul Punto Vendita (FMOT)



FMOT sta per “First Moment Of Truth.” ovvero il brevissimo lasso di tempo in cui il compratore decide, nel punto vendita, quale prodotto mettere nel carrello. Un tempo, secondo P&G, compreso tra tre e sette secondi.

La multinazionale ha da tempo costruito un FMOT- team di 15 persone nella sede centrale dell’azienda ed altre 50 sparse per il mondo. Ed ha messo mano al portafoglio, nel quadro di quello che pare essere un più generale riallineamento degli investimenti pubblicitari. A fronte (negli US) di un taglio del 25% della TV via cavo e del 5% della TV generalista, il budget complessivo di comunicazione è comunque aumentato.
Per indovinare dove è stato indirizzata tutta questa quantità di denaro (in parte verso l’online), qualche indicazione la possono dare le dichiarazioni della responsabile FMOT di P&G, che afferma che il 75% delle decisioni d’acquisto si compiono sul Punto Vendita.

L’idea di P&G è quella di trasformare la comunicazione sul Punto Vendita “da un’arte ad una scienza”. E questo processo la multinazionale lo ha in corso da tempo: da anni dispone infatti di due edifici, negli Usa e in Svizzera, in cui vengono replicate le strutture di un supermercato e in cui vengono testati “dal vivo” i packaging, sul lineare, in confronto diretto con i materiali dei concorrenti – o presso i quali si tengono focus group sul campo (strutture analoghe le ho comunque viste impiegate in altre aziende e istituti di ricerca, anche in Italia).

E’ chiaro che la comunicazione tradizionale gioca un ruolo fondamentale nel costruire awareness e brand preference, fuori del PV. Certamente l’innovazione di prodotto costruisce attenzione ed interesse. Indiscutibilmente la costruzione della percezione di “valore” del prodotto è cruciale nell’accettabilità e nella desiderabilità del prodotto. Tutte cose che si fanno “fuori” del punto vendita, e che le strategie di comunicazione PV non potranno di certo sostituire.

Continuare però una forte azione di marketing all’interno del negozio aiuta le probabilità di successo, nella manciata di secondi in cui la va o la spacca, specialmente a fronte di competitor altrettanto forti in termini di marca… o di prodotti commerciali dal pricing molto competitivo.

Focalizzandoci dunque (solo) sulla parte della strategia FMOT che riguarda il materiale POP, gli esempi interessanti non mancano.
Ad esempio, per supportare una linea di pannolini, P&G ha fatto piazzare delle false maniglie sulle porte delle stanze in cui si possono cambiare i bambini, all’interno dei bagni dei supermercati. Maniglie poste troppo in alto, per ricordare alle madri quanto debbano stirarsi i bambini per raggiungere le cose - in un mondo fatto a misura di adulto. E che dovendosi stirare in questo modo, hanno bisogno di un pannolino “stretch” in grado di mantenere il loro confort.

Per altri prodotti è stato scelto un posizionamento inconsueto, in basso negli scaffali dei supermercati. Lontano dagli occhi delle madri… ma perfettamente all’altezza dei bambini che, attirati anche da display a forma di mascotte posti sul lineare, richiamavano molto efficacemente l’attenzione della madre.

Questo tipo di azioni non è limitato ai prodotti per bambini: all’estremo opposto possiamo citare dei display PV realizzati per Absolut Vodka, che ponevano le bottiglie sotto il fascio di proiettori colorati, abbinando il colore della luce con quello della confezione…il tutto ovviamente in linea con il celeberrimo “look” della comunicazione della famosissima marca.
In questo filone si integrano poi gli strumenti audiovisuali, tipo le affissioni digitali o i network televisivi interni alle catene - di cui si prevede un sostanziale incremento di presenza e importanza nei prossimi anni.

Cambia l’atteggiamento delle agenzie verso il POP: il mercato della comunicazione in-store negli US è in netta crescita, passando da quasi 18 miliardi di dollari l’anno scorso a quasi 19 di quest’anno.
E se non bastasse l’opportunità di business a far muovere le agenzie, ci pensano i clienti - che sempre più spesso esigono questo tipo di capacità e potrebbero far dipendere la scelta dell’agenzia proprio dalla presenza di questo tipo di competenza.

Il materiale punto vendita non è più quindi una comunicazione di serie B. E mentre prima il POP era una “declinazione” della campagna, ora pare sia un elemento tenuto a mente sino dalle fasi iniziali del progetto, in grado di condizionare lo sviluppo anche della pubblicità, un materiale per il cui sviluppo si investono tempo, capacità e talento.

lunedì, gennaio 02, 2006

Innamoriamoci della marca, arriva il Lovemark


Nel mondo delle agenzie di comunicazione, è corrente cercare di costruirsi awareness, credibilitá e differenziazione attraverso lo sviluppo di filosofie innovative, destinate (secondo gli autori) a rivoluzionare il mercato.

In molti casi il tutto si riduce a un certo quantitativo di aria fritta impacchettato con una accattivante "buzzword", confezionato da addetti ai lavori che devono trovare una giustificazione per la propria esistenza o per gli elevati costi del servizio.

Il caso del Lovemark, approccio propugnato da Kevin Roberts (CEO di Saatchi & Saatchi), può essere guardato con maggiore attenzione, non foss'altro che per l'impressionante curriculum in campo marketing dell'autore.

L’affermazione che Roberts fa è piuttosto forte: le Marche hanno finito la benzina. Ed è necessario guardare ad un futuro oltre le marche (ma attenzione: non un futuro senza le marche - ma un domani con delle “supermarche”…).
Identifica nella creazione di un rapporto fortemente emozionale e di lunga durata la chiave per far prosperare la marca. Stabilendo, grazie proprio all'Amore una connessione più profonda con i consumatori.

Questo tipo di approccio emozionale è condiviso da un gran numero di addetti ai lavori che riconoscono le difficoltà del marketing del secolo passato, in un mondo in cui le performance di prodotto sono ormai (giustamente) date per scontate e dove prodotti molto economici sono in grado di competere funzionalmente con prodotti ben più "nobili" e di prezzo elevato.

Il Lovemark trascende la "semplice" marca. Offre un’esperienza che sorpassa le aspettative di superior performance del consumatore.
Come le marche si basa su un forte rispetto da parte del mercato - ma a differenza delle marche più blande, il Lovemark dovrebbe arrivare diretto al cuore, creando una relazione tanto forte da creare una dipendenza affettiva.

La ricetta segreta per la costruzione di un Lovemark (oltre, ovviamente, partire dall’assegnazione di un corposo budget alla sua agenzia) si basa su tre ingredienti magici: Il Mistero, la Sensualità e l’Intimità.
Una marca un po’ misteriosa, una marca in grado di ricatturare periodicamente la nostra attenzione, sorpassando il rumore di fondo della comunicazione di massa, tenendo elevata la nostra curiosità e la voglia di scoprire le cose che ancora non sappiamo o che possono essere dietro l’angolo.
La seconda componente da costruire è quella della sensualità e dell’uso quindi di approcci multisensoriali, disegnando nei prodotti e servizi delle “firme” sensoriali.

Passando all’intimità, questa si esplica nella capacità della marca di mettersi in strettissima relazione con le aspirazioni personali e le ispirazioni dei consumatori. Di creare dunque un senso di vicinanza affettiva propria del rapporto di innamoramento umano.
Una marca in grado di costruire di se’ un profilo contraddistinto da impegno, da empatia e passione – per poter generare nel cliente (o adepto o, più propriamente, innamorato) una “lealtà al di là della ragione”.

In questo senso, una marca così carica di attributi affettivi dovrebbe essere in grado di passare oltre all'inerzia del consumatore, al punto che dovrebbe essere il target stesso a richiedere la comunicazione, entrando nell’ottica dell’Attraction Marketing.

Tutto questo dunque si traduce nella capacità di articolare la comunicazione su toni e soprattutto strategie altamente emozionali: lavorare a fondo sulle storie che si devono raccontare, storie chiaramente non “one shot” legate al singolo commercial ma alla comunicazione di lungo termine della marca.
E’ grazie a questi elementi che, secondo Kevin Roberts, si riescono a costruire queste supermarche terribilmente attraeneti e in grado di suscitare una fedeltà che rasenta il fanatismo.

Funzionerà nella nostra cultura? Ah, saperlo... la teoria (contenuta nel libro “Lovemarks: The Future Beyond Brands" e nel sito www.lovemarks.com) appare interessante, anche se presta il fianco a molte critiche – basandosi sostanzialmente sull’assunto che il consumatore sia pronto ad innamorarsi acriticamente di una marca… ipotesi che in molti paesi (in cui il consumatore si rivela sempre più critico, smailiziato e cinico) direi sara' messa a dura prova.